The amazing concept art of Peter Pan (1953)
Artbook: They Drew As They Pleased Vol. 4: The Hidden Art of Disney’s Mid-Century Era: The 1950s and 1960s
Early work is also featured in Vol. 1
Non riuscivo a distogliere lo sguardo dai denti dell'uomo seduto di fronte a me.
Sì, avete capito bene: non stavo guardando i suoi occhi o i capelli o qualche buffo particolare, fissavo davvero la sua bocca, i suoi denti e, per quanto provassi, non riuscivo a pensare ad altro.
Erano gialli. gialli come un vecchio foglio di carta e consumati, appuntiti: sembrava la bocca di uno squalo.
Mi tornò alla mente un documentario che avevo visto anni prima sulla tossicodipendenza: la droga faceva quell'effetto ai denti, li logorava, li scavava finchè non rimaneva solo l'inquietante fantasma di quello che una volta era un sorriso.
Più volte, nel corso della mia vita, mi ero chiesta cosa portasse le persone ad autodistruggersi in quel modo, a morire lentamente per qualcosa di così stupido, perchè diavolo iniziavano?! Quante volte me l'ero domandato non trovando mai una risposta, forse lo compresi davvero solo in quel preciso momento, colpa anche di ciò che era diventata la mia vita.
Vedete, tutti abbiamo un piccolo vuoto dentro, un buco lasciato magari da una persona o da un'occasione persa, da un'infanzia non vissuta o da un'adolescenza mai finita, tutti abbiamo quel piccolo buco che sembra stare proprio al centro dello stomaco e tutti proviamo a riempirlo: chi con il cibo, chi con un nuovo paio di scarpe, chi con un'altra persona, chi estraniandosi dalla realtà con serietv, videogiochi, libri, alcool..
Si inizia sempre così, provando a stare meglio, a riempirci, a non pensare e ci riusciamo. La prima volta ci riusciamo sempre tutti.
Quella serata a base di alcool ha fatto a tutti bene, quel videogioco ha trasportato tutti in un altro mondo, quel pacchetto di patatine era proprio buono, la ragazza rimorchiata al locale era davvero una gran fica, la maglietta nuova ci sta un incanto..
Tutti siamo stati bene quella prima volta, non abbiamo pensato: quel vuoto era salito fino alla testa e con un buco nella mente si sta fottutamente leggeri, bene come da chissà quanto tempo non si stava.
Passa, quella sensazione di benessere, di leggerezza passa quasi subito: quando finisci la tua dose di droga legale quel buco torna ed è più forte, più pressante, più grande.
E allora ci riprovi e poi ci riprovi ancora e ancora.. Finchè non ti fa più stare bene nemmeno per un secondo, finchè diventa un'abitudine, un brutto vizio che, magari, ti fa sentire anche in colpa perchè quei soldi non avresti dovuto spenderli, perchè dell'ennesimo snack davvero non ne avevi bisogno, perchè ormai hai il fegato grande così, perchè giocando al pc o guardando l'ennesimo episodio dell'ennesima serie tv hai perso tanto tempo che avresti potuto dedicare a fare qualcosa di più costruttivo.
Non ti fa stare più bene, quel vuoto continua ad esserci, la testa continua ad essere pesante e lo stomaco continua ad avere quel vuoto. L'anima continua ad avere quel vuoto.
Un serpente che si morde la coda.
Un circolo senza fine.
Più scappi dal tuo dolore senza affrontarlo, più ti affidi a qualche palliativo, più quel vuoto cresce.
Tutti siamo dipendenti da qualcosa che non ci fa stare bene, tutti promettiamo a noi stessi di smettere ma poi ricadiamo nei soliti schemi, nelle solite abitudini.
Mi sentii spingere in avanti e mi ridestai dalle mie riflessioni: il treno aveva frenato, eravamo arrivati ad una stazione.
Controllai fuori dal finestrino alla ricerca di un cartellone, una scritta che potesse indicarmi dov'eravamo arrivati, non era certo la prima volta che perdevo la mia fermava, persa a pensare alle cose più inutili e disparate.
Persone che salivano, gente che salutava.. Era una stazione piena di vita, diversa da quella in cui scendevo ogni giorno. Mi sporsi un poco e, finalmente, vidi il cartellone bianco che mostrava fiero il nome del paese in cui ci eravamo fermati e sospirai di sollievo: no, mancava ancora qualche città prima di arrivare a casa.
L'uomo però si alzò e, preso il bagaglio, uscì dallo scompartimento lasciandomi una convinzione.
Dovevo fare qualcosa, dovevo cambiare la mia vita, dovevo rompere quello schema e ritornare ad essere padrona della mia vita.
girl who has given up 100,000,000,000 times
Some words stay in your head long after they’re spoken.
Robin Roe (via bnmxfld)
Silvia Grav is a 19 year old photographer from Spain. Currently living in Madrid.
Silvia’s work is best described as “surreal”. Some would classify much of her work as creepy, strange, or scary, but these creations truly takes conceptual photography to new heights. We have seen the technique of combining multiple exposures many times before, however, Grav has a knack at combining elements of nature (waves, stars, clouds) in a way that is just captivating.
How would you describe your style?
I never quite know how to explain it. Aesthetically, I love analogue photography- dirty, scratched. I’ve been obsessed with the black & White that old photographs possess since I’ve discovered photography, but I don’t know why. I see very clear when I find beautiful imagery, but I ignore why I’ve acquired my style. I think that this is unconscious, a set of many influences that are impossible to differentiate.
By: Angela Butler from phlearn.com
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"Non puoi fare sempre tutto da sola!" credo sia il rimprovero che mi viene mosso più spesso e in effetti è vero, non amo chiedere aiuto. Anzi, lo detesto proprio.
Ci sono cose, però, che davvero non posso fare da sola e me ne rendo conto: nelle relazioni, di qualsiasi tipo queste siano, non posso fare tutto da sola, ci vuole un passo anche dall'altra parte.
Purtroppo, anche in questi casi, non riesco a chiedere "aiuto" e continuo a fare ciò che dovrebbe essere fatto da due persone, anzichè una. Questo finchè non mi sento stanca, vuota, senza più nulla da offrire e me ne vado in silenzio.
...
Passando da sociopatica, incoerente e lunatica.
E anche a quel punto, come non ho condiviso il lavoro, non condivido nemmeno la colpa: tutta mia. Se tutto è finito, se non esiste più un rapporto, non è colpa di chi quel dannato muro non ha provato nemmeno a scolpirlo, anzi, se n’è guardato bene, no, è colpa mia che tentavo di spaccarlo nel modo sbagliato.
The moment you finish reading this sentence, the version of you that began reading will have entered the past.
“Vorrei parlarti, ma non riesco mai a farlo.”
— Ultimo; Cascare nei tuoi occhi
Radiohead / Packt Like Sardines in a Crushd Tin Box