|| Note a margine
Quando stai rielaborando concetti e parole di terzi per cercare di costruire una coerenza narrativa e logica, pensi: "Ma che fatica!". Oppure passi ogni tre secondi a chiederti: "Ma sto interpretando correttamente le parole di questa persona? Sto riuscendo a capire e a rendere ciò che mi sta dicendo?".
Vorrei ritornare adesso a tradurre quei minidialoghi basic del liceo, quelli che si trovano nei libri per apprendere le lingue straniere.
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Penso che cogliere il punto di vista di una persona che parla la mia stessa lingua, a volte, non ne determina l'effettiva comprensione, perché entrano in gioco le diverse sfumature di significato, le intenzioni, gli elementi paraverbali, le espressioni non verbali e su questi non sono stati ancora ideati vocabolari e dizionari.
Come si entra real-mente in relazione con l’altro, dal momento che le singole individualità possono rivelarsi “ingombranti” ai fini relazionali?
Perchè non ci sono momenti dedicati all’approfondimento della possibilità disastrosa dello star insieme?
Ad antropologia, mi insegnano:
la sospensione del giudizio,
le tecniche empatiche,
il relativismo,
l’approccio critico...
=> ma è tutto così astratto e poco sponteneo!
A volte, però, tralasciano che: è importante evidenziare anche la dimensione più istintiva ed emozionale, nata nell’incontro con l’altro!
Vorrei conoscere più studiosi e accademici come Malinowski, uno dei più celebri antropologi del ‘900, che nel suo diario di campo in Papua Nuova Guinea scriveva:
«Pensai al mio atteggiamento attuale verso il lavoro etnografico e verso gli indigeni. Alla mia antipatia per loro, alla mia nostalgia per la civiltà»
- tratto da Giornale di un antropologo, Bronislaw Malinowski, Armando Editore, 1992, p. 106.
Anche se il diario di Malinowski è stato pubblicato postumo: le sue annotazioni - patrimonio dell’Unesco - aprono riflessioni e spunti inediti...